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Sommario: 1. Premessa. – 2. Il diritto di voto tra la tensione all’universalità e i requisiti negativi dell’art. 48 Cost. – 3. Garantire l’effettività dell’esercizio del diritto all’elettorato attivo sulla base del modello liberale: il paradosso del legislatore repubblicano. – 4. Il “silenzio (elettorale)” all’interno degli Istituti di pena. – 5. L’astensionismo che non c’è. Proposte o miraggi?
1. Premessa. – Riflettere sull’universalità del suffragio nell’ordinamento italiano può apparire, oggi, un mero esercizio di dottrina ed un’operazione non necessaria. Il percorso inaugurato con il decreto legislativo luogotenenziale 2 febbraio 1945, n. 23, proseguito con l’adozione dei primi due commi dell’art. 48 della Costituzione, e concluso con gli interventi legislativi volti ad eliminare le condizioni ostative all’esercizio del diritto di voto ha, infatti, condotto a garantire la più ampia partecipazione possibile dei cittadini alla formazione del potere politico e, quindi, nell’assunzione delle decisioni incidenti sulla collettività1. Il presente contributo si prefigge di far luce sull’esercizio del voto nello specifico ambito degli Istituti di pena. Il contesto penitenziario permette, invero, di evidenziare alcune criticità attinenti non tanto all’attribuzione della titolarità formale del diritto a tutti i cittadini, uomini e donne, che abbiano raggiunto la maggiore età, bensì all’effettivo esercizio dello stesso da parte dei destinatari di misure restrittive della libertà personale.